works
1993, Bosnia-Erzegovina
"Fotografie di guerra. Scatti rapidi, nessun tempo di posa, né per studiare l'inquadratura, né per scegliere quale parte di realtà privilegiare, quale escludere. Scatti furtivi, rubati alla paura, al dolore, allo sgomento e la rassegnazione.
Non è l'occhio che sceglie, è la realtà che si impone. È lei che bombarda l'occhio con i propri flash duri, brutali, traumatici, impressionando la pellicola nel microsecondo dell'evento, dell'emozione.
Queste intense fotografie sono appunti, taccuini di un viaggio nel cuore di tenebra dell'umanità, immagini brucianti strappate all'oblio, alla dimenticanza e alla cancellazione, per consegnarci un archivio di memorie visive che testimoni l'orrore e la disperazione da cui si sarebbe tentati, difensivamente, di distogliere lo sguardo. Sono come un prezioso "notes magico" di cui parla Freud, che per sempre porterà la traccia di ciò che vi è stato scritto, anche se i caratteri apparentemente sono scomparsi: qualcosa che chiede di poter riacquistare visibilità, per essere ricordato e rielaborato".
Maria Grazia Vassallo Torrigiani
I pannelli esposti mostrano fotografie scattate nell'area compresa tra Posusje e Mostar.
All'epoca del conflitto, Posusje è stato il centro dell'esercito bosniaco-croato oltre che sede di alcuni campi profughi. Mostar, da sempre capitale non ufficiale dei croati, nel 1993 era divisa in due settori, orientale e occidentale, controllati rispettivamente dall'esercito fedele al governo di Sarajevo e da quello separatista dei croato-bosniaci. Trentamila musulmani furono cacciati a est del fiume Neretva. Centinaia le vittime civili. La guerra, inutile dirlo, ha devastato il territorio le sue infrastrutture, le sue industrie persino i monumenti storico-culturali.
Un rischio camminare per le strade di Posusje con le attrezzature fotografiche!
Un rischio raggiungere Mostar, nel 1993!
E' stato solo grazie a un frate, padre Madrenko, che abbiamo potuto evitare le granate provenienti dal fronte croato - le stesse che qualche mese dopo hanno ucciso tre colleghi italiani (sono oltre 60, in tre anni, i reporter che in quella guerra hanno perso la vita) - e passeggiare con angoscia tra le macerie di Mostar. Il dovere dell'informazione! Stare dentro e raccontare da dentro!
Il sipario deve rimanere aperto e i riflettori accesi laddove ogni diritto umano è calpestato.